IL VENERDÌ di Repubblica
Il prete danese che diventò un eroe partigiano a Parma
Si chiamava Arndt, Paolo come nome di battaglia (e oggi lo ricorda una strada). Come fu che da monaco a Copenaghen arrivò a fare la Resistenza in Italia, trovando lungo il cammino per la libertà anche l'amore di una giovane «staffetta»
di Francesca Marani
Fischiava il vento e fischiavano le pallottole nella campagna intorno a Parma. Si stava combattendo, nei giorni tiepidi dell'aprile 1945, l'ultimo atto della guerra partigiana. In prima linea, ragazzi che dopo l'8 settembre 1943 avevano lasciato la città e la famiglia per lottare contro gli occupanti nazisti. I loro nomi, Luigi Capriolo, Guido Chierici, Max Casaburi, solo per citarne alcuni, sono oggi quelli delle vie di un quartiere residenziale a sud-ovest della città. Quei nomi hanno ognuno la propria storia, ma tutti storie simili.
La vita di Paolo il Danese, al quale è stata dedicata una strada che si interseca con quelle dei suoi compagni, parte però da molto più lontano e, per arrivare alle montagne intorno a Parma, segue un percorso tortuoso e affascinante. Prima monaco benedettino, poi soldato nell'esercito danese e prete cattolico a Roma, infine combattente in Emilia Romagna e comandante di una brigata partigiana, con un ruolo di agente segreto per i servizi britannici. È tutto documentato dallo storico e giornalista italo-danese Thomas Harder nel libro, inedito in Italia, Paolo il Danese. Den danske partisan.
«Mi è sembrata subito una vicenda molto bella: un giovane che combatte per la democrazia lontano dal suo paese, contro un sistema ingiusto che per lui rappresenta una minaccia per la libertà di tutta l'Europa» spiega Harder, 46 anni. Arndt Paul Richardt Lauritzen, questo il vero nome di «Paolo», nasce a Copenaghen nel 1915 da una famiglia protestante ed è appena al secondo anno di ginnasio quando comunica ai genitori, il padre ha una bottega di barbiere, l'intenzione di diventare un monaco cattolico. Nel '33, il giorno dopo il suo diciottesimo compleanno, Arndt si converte e inizia la vita monastica nel convento benedettino di Clervaux, in Lussemburgo. Negli anni successivi, in seguito a soggiorni di studio in Germania e Belgio, entra in contatto con antinazisti cattolici tedeschi e conosce da vicino la barbarie di Hitler.
«È in quel periodo che si rende conto che il cristianesimo e la libertà in Europa sono in pericolo. E che lui deve fare qualcosa di concreto» sostiene il figlio maggiore di Arndt, Lorenzo, che vive in provincia di Parma e che, come il resto della famiglia, ha sempre mantenuto una grande riservatezza sulla figura del padre. Arndt aveva fatto il servizio militare in Danimarca, fra il 1937 e il 1938, e allo scoppio della guerra, il primo settembre del '39, torna nel suo paese per arruolarsi perché, come lui stesso scrive, «è dovere di ogni uomo mettersi a disposizione per difendere la libertà e gli interessi della nazione».
Comandante del suo reggimento è Helge Bennike, definito «il primo membro della Resistenza danese»: quando il 9 aprile 1940 riceve l'ordine di non opporsi alle forze tedesche che stanno occupando il paese, decide di non obbedire e di far passare i suoi uomini, Arndt fra questi, in Svezia, per difendere questa nazione da un possibile attacco tedesco. L'attacco non arriva, la maggior parte dei soldati danesi sceglie di tornare in patria. È qui, nella Danimarca ormai occupata dai nazisti, che Arndt riprende il suo percorso religioso come segretario del vescovo cattolico Theodor Suhr, parallelamente a un'attività di sostegno alla resistenza. Non a caso proprio il vescovo Suhr aveva dichiarato al quotidiano Nationaltidende: «Ci sono casi in cui bisogna prendere le armi».
Nel 1941 Arndt è a Roma, l'anno successivo viene ordinato sacerdote cattolico. «Con ogni probabilità già in quel periodo svolgeva un ruolo attivo contro il nazismo» afferma l'autore della sua biografia. «Le testimonianze di chi l'ha conosciuto, della sua famiglia in primo luogo, ritengono che fosse un agente britannico» continua Harder. Dopo l'8 settembre, Arndt lascia Roma per Parma. Per un primo periodo lavora come precettore in una famiglia italo-danese, infine lascia ogni copertura per unirsi a un gruppo di giovani partigiani. Che imparano presto ad apprezzarlo: Paolo il Danese, che ha più esperienza militare della maggior parte dei suoi compagni, diventa comandante della III brigata Julia. Il suo nome appare oggi, insieme a quelli dei partigiani più famosi, anche sul sito http://www.venticinqueaprile.it/, dove si raccolgono i personaggi, i luoghi e gli eventi della Liberazione.
Tra i tanti episodi, uno, racchiuso nella biografia e raccontato da Paolo il Danese in un'intervista del 1952, spiega perché in seguito non poté più essere sacerdote. «Durante lo scontro a fuoco in una caserma» si legge nel libro, «mirai su un tedesco ma non premetti il grilletto. Volevo fargli dono della vita. Ma quando la mia attenzione fu attirata altrove, lui stava quasi per spararmi. Non posso fargliene una colpa, visto che non lo avevo disarmato. Lo anticipai e gli sparai. Mi chinai su di lui mentre stava per morire e gli chiesi se era cattolico. Lo era e gli diedi l'assoluzione. Quando mi stavo per allontanare mi sparò. E fui costretto a finirlo. In quel momento mi resi conto che non potevo più essere sacerdote». Per il suo contributo a quella battaglia del 1944, nel paese di Lesignano Bagni, Paolo il Danese ricevette nel 1968 la medaglia d'argento al valor militare, un' onorificenza assegnata a pochissimi stranieri.
All'inizio del 1945, Paolo conosce la bruna staffetta partigiana Teresa, che in bicicletta fa la spola fra Parma e i rifugi sulle montagne. Il suo vero nome è Rosita ed è impiegata in banca. Dopo la liberazione continuano a incontrarsi, e si sposeranno pochi mesi dopo, nell'agosto del 1945, a Milano. Avranno tre figli, vivranno in Danimarca, a Berlino, e dal '53 di nuovo in Italia, lavorando, spesso insieme, per diverse aziende. Paolo muore nel 1978, Rosita, i tre figli e i tre nipoti vivono oggi in una cittadina a pochi chilometri da Parma. Ancora nel 1990, per i 45 anni dalla Liberazione della città, il sindaco consegna all'ex staffetta partigiana una targa d'argento, in memoria dell'attività del marito e come riconoscimento della sua equità quando, come comandante delle carceri parmigiane di San Francesco, evita dopo il 26 aprile molte giustizie sommarie. Parliamo di 26 aprile, perché fu quella la data della Liberazione di Parma. «E oggi, a pochi giorni dalla ricorrenza» dice Thomas Harder «vorrei ricordare le parole scritte da Paolo il Danese come congedo ai suoi uomini nel maggio del '45; "Riprendiamo la strada che ci ha segnato la Provvidenza. Con impresse nel cuore cose che non si potranno mai dimenticare". È quello che ho voluto fare con il mio libro: fissare un pezzo di storia che era viva soltanto nella memoria dei protagonisti, e far ricordare le persone eroiche che hanno rischiato la vita per salvare non solo i loro paesi, ma tutta l'Europa dal fascismo e dal nazismo».
Il Venerdì di Repubblica, 21 aprile 2006